Giovanni Renzi e le matite, storia undici.

Giovanni Renzi, mentre si cimentava a scrivere il suo libro “Matite, storia e pubblicità”, è incappato in interessanti aneddoti legati alle matite. In questo periodo, ci aiuta a “evadere con la mente” raccontandoci una storia al giorno. Questo racconto lo dedica a Bruno Munari: per lui una matita era il mezzo, l’attrezzo per comunicare i suoi pensieri, la sua creatività.

“Una matita al giorno” – La matita del creativo: Bruno Munari

Henry David Thoreau di cui abbiamo parlato ieri scrisse che “la matita, lo strumento degli scarabocchi, rappresenta il pensiero e la creatività... Eppure la grafite della matita è anche il mezzo effimero di pensatori, progettisti, disegnatori, architetti e ingegneri, il mezzo da rivedere, sbavare, cancellare, perdere ...”
“Pensiero e creatività” chi meglio rappresenta l’incarnazione di queste due parole
se non Bruno Munari.
Pochi giorni fa, da una nuova lettrice di questi miei post giornalieri sulla matita, ho ricevuto una firma di Munari. Nella mia ignoranza non le conoscevo.
Ho cercato su internet e, gentilmente la lettrice mi ha inviato copia del libro che le raccoglie. Munari le creò alla fine di un pranzo con amici in una trattoria. Sono linee, una specie di tracciati su dei pentagramma. E da come nasce la linea, da una storia persa nei secoli, vorrei partire per raccontare in poche righe il grande Munari.
Un’antica leggenda racconta che Dibutade, una giovane fanciulla di Corinto, fosse disperata per la partenza del suo innamorato. L’ultima notte che passò con lui vide contro il muro la sua ombra proiettata dalla luce delle torce e del fuoco.
Prese un carbone e disegnò il contorno dell’ombra del suo innamorato per catturarne, per sempre, l’immagine. Sembra che fu il Dio Amore che rese così inventiva Dibutade. Così raccontano gli antichi greci.
Questa sarebbe la nascita della linea. Una nascita da un atto d’amore.
Kandinskij secoli dopo, nel 1926, mentre ancora insegnava nel Bauhaus, pubblicò uno studio che considera la linea “la traccia di un punto che viene messo in movimento”, anzi “la distruzione del punto”. Il carattere del punto poi per Kandinskij dipende dallo strumento che si usa e dalla superficie che lo accoglie.
Munari partiva proprio da un punto e da una conoscenza degli attrezzi e dei materiali da utilizzare. Nel suo metodo, subito dopo il momento creativo, veniva proprio la scelta della tecnologia e del materiale da usare.

Durante i suoi laboratori per bambini l’aspetto più importante era non tanto il risultato finale quanto la scelta dello strumento migliore dopo aver sperimentato tutte le possibilità a disposizione; come ad esempio la durezza di una matita, o la larghezza del segno lasciato da pennarelli di vario formato.

Riteneva che le matite sviluppano, e consentono di sperimentare, tratti differenti; fine, grosso, più o meno calcato. Con le matite colorate nascono effetti sempre nuovi, dimostrazione del fatto che, nel mondo e nella vita, esistono varie sfumature.

La matita dunque è uno dei suoi strumenti.
Chi aveva la fortuna e il piacere di osservare Munari al lavoro descriveva uno spettacolo: “Lavorava sulla pagina come se accordasse un violino… Quella matita si muoveva con una straordinaria leggerezza e rapidità, sembrava che tracciasse nel vuoto la danza delle api.”

Così racconta Umberto Eco osservando Munari “Munari non leggeva il testo, se lo faceva rapidamente raccontare per cogliere il concetto centrale, poi metteva le mani in uno scatolone in cui, per lo stesso soggetto, avevamo preparato almeno una ventina di immagini possibili. Lavorava rapidamente, scartava delle foto, ne teneva ferme delle altre sotto il raggio dei suoi occhialini quasi mongoli. Diceva “tagliamo qui, prendiamo solo questo particolare, e lo mettiamo qui”. Poi segnava un punto sul foglio con la matita, esilissimo. Quei puntini a matita erano idee.”
Ancora quel punto …
È lui che descrive il suo rapporto con lo strumento matita:
«… Sul foglio è appoggiata una matita bene appuntita, con la punta rivolta verso di me, quasi per indicarmi, come per invitarmi a prenderla in mano. Sto qualche minuto ad osservare la matita mentre nel mio pensiero visivo si va formando un’immagine che vorrei realizzare, comunicare, far vedere. La matita è lo strumento attraverso il quale passerà l’immagine che ho nel mio pensiero, per apparire sul foglio» .
Una bacchetta magica insomma. Pensiero e creatività insieme, il nostro segno nel mondo. Del resto cos’è che rimane se non la magia del creato?

Per finire, visto i giorni che passiamo senza uscire di casa vorrei ricordare un altro aforisma che deriva dal Bauhaus, di Paul Klee: "la linea è un punto che è andato a fare una passeggiata".
Ancora quel punto, ancora quella linea…

Giovanni Renzi

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