LA FIABA DEL BLU

BLU era decisamente un tipo affidabile.

Mai una sbavatura o una macchia anche solo piccolina,
un’alzata di tono o un’aggressione chimica.
Restava a lungo a contemplare il CIELO e il MARE,
a volte specchiandosi in su, altre in giù.
Ma non era uno che si desse delle arie.

Blu era giusto e attento, pacato e riflessivo.

Per questo non aveva nemici, anche se, a dirla tutta, neppure
amici, perché tutti stavano davanti a lui con un po’ di disagio,
in soggezione.

Abbassavano la voce, non si grattavano la testa,
non si sarebbero mai messi le mani nel naso in sua presenza.
Grazie a questa sua natura, BLU aveva tutte le carte
in regola per ottenere il successo.

E fu quello che accadde BLU fu nominato RE.

Lo fecero nelle CORTI di Francia, di Spagna, in quelle di Sicilia,
ma anche tra i potenti americani e così in Nuova Zelanda.

Chiunque volesse dimostrare d’essere di classe e per bene
lo invitava a pranzo, nelle sale dove si prendevano le decisioni.
E soprattutto nelle chiese. Però non fate l’errore di pensare
che fosse andata così fin dall’inizio.

Blu non era nato con la camicia.

Gli antichi lo avevano snobbato. Qualcuno aveva anzi messo
in dubbio la sua natura. Non era nemmeno un colore,
sussurravano. E poi non aveva la flemma del Rosso, il rigore
del Nero o la grazia del Bianco.

È vero, i faraoni lo avevano considerato un portafortuna,
ma solo per via di una sfumatura che tendeva al verde
e che veniva da una ricetta segreta, poi andata perduta.

Ad essere precisi, il destino per Blu cambiò
sulla vetrata di una CHIESA. Era il tempo del Medioevo
e un certo abate francese, di nome faceva Sugerio,
dell’abbazia di Saint-Denis decise di metterlo ovunque.

«Per dissipare le tenebre», disse l’abate. Ma per farlo
ci voleva un prodotto molto costoso, il cafro, che noi
chiamiamo Blu Cobalto.

Lo fece l’abate, che s’impuntò,
e spese fiumi di denaro. E siccome la ricchezza
attrae invidia, tutti decisero di imitarlo.
Blu divenne il colore alla moda.

Lo chiamarono sul TRONO. Né Blu si tirò indietro.
Da quel giorno cominciò a dettare legge.

Come fu, come non fu, Blu capitò su ogni VESTE
di donna e di uomo, quegli aristocratici
dalla puzza sotto il naso, che cominciarono
a fare a gara per chi inventava
la sfumatura più bella, più strana.

La tinta che piaceva di più si otteneva dal guado.
GUADO è nome di una pianta, è metà erba e metà arbusto.
Cresceva nei villaggi, spontanea, gli artigiani estraevano il colore,
ma non certo in quantità sufficienti per tutte quelle richieste.

Così quando Blu divenne il più desiderato dell’occidente,
ecco che le industrie cominciarono a produrlo. E più se ne faceva,
più la gente ne chiedeva.

Toscana, Tolosa, Turingia si fecero la guerra per chi
lo produceva più bello e in maggior quantità.

Si presentava sotto forma di palle che i francesi chiamavano
coques, e la fortuna fu tanta che il nome paese della Cuccagna
viene proprio da COQUES, tradotto cocagne.

Ma mentre tutti impazzivano per Blu, poco distante, nel
territorio di Strasburgo, i mercanti di robbia si strappavano i capelli.
Sapete perché?

Perché dalla robbia viene Rosso. E Rosso non lo voleva più nessuno.
Una vittoria perfetta per Blu, penserete. Assolutamente no invece.
Tutto quel clamore non fece bene a Blu.
Intendiamoci, anche se frequentava i luoghi e gli eventi più esclusivi, era solo.

SOLO nella sua distante perfezione.

Così, piano piano, Blu si spense. E forse oggi non sapremmo come
colorare il cielo, il mare, e tante, tantissime cose, se qualcuno
non fosse venuto in suo aiuto.

Indaco non era considerato davvero un colore. Invece
un pigmento, una polverina, di origine vegetale, che in Asia
avevano scoperto già 4000 anni fa.

La SIGLA che lo definisce è lunga e difficilissima da memorizzare.
Ma non si dimentica il suo potere magico.
Indaco ha un dono unico, speciale: si mantiene brillante
nel tempo, non sbiadisce

 

Se ne innamorò ISAAC NEWTON
che lo identificò tra le 7 tinte dell’arcobaleno e vicino a Blu,
nello spettro della luce, chiamò in cattedra Indaco.

E per fortuna.

Perché grazie a quella vicinanza, mentre Blu sbiadiva di tristezza,
Indaco corse a salvarlo.

Arrivò di fretta, in groppa all’ARCOBALENO
e quando l’ora fu quella giusta, e la pioggia smise di cadere,
Indaco afferrò Blu per il polso e lo trascinò con sé.

Voleva che salisse su quel cavallo stregato che solo chi conosce il cielo,
e gli gnomi che alla sua base nascondono la PENTOLA D’ORO,
sanno quant’è straordinario.

Blu e Indaco risero, si sporcarono, giocarono alla lotta e trasformarono
il cielo. Lo fecero per un giorno e una notte intera e intanto il mondo sembrava
passare dentro una lente gigantesca e meravigliosa.

Tutti gli sguardi erano incollati a guardare.

Fu all’alba che infine i due amici si fermarono.
Il sole batteva alla porta, voleva entrare.

Indaco e Blu gli fecero l’inchino e piano piano, diventarono azzurro,
poi azzurrino e si infilarono dentro le MATITE, i pastelli,
gli acquerelli e i pennarelli, prendendo ogni sfumatura
che hanno i sogni di ogni bambino.

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