Credits Lorenzo Desiati
Nel corso degli anni, FILA e MUS.E hanno costruito un partenariato saldo e prezioso: da una parte MUS.E, chiamata a valorizzare ogni giorno il patrimonio culturale della città di Firenze, dall'altra FILA - con il suo love brand GIOTTO Colore Ufficiale delle attività educational di questa importante Associazione. Quello che segue è un contenuto speciale che MUS.E ha realizzato in esclusiva per Diario Creativo per condividere spunti, suggestioni e visioni sul ruolo dell’arte, della bellezza e della crescita consapevole delle nuove generazioni.
Mani che piegano e che modellano; mani che accartocciano e sovrappongono; mani che inventano e costruiscono. Tutto con un solo materiale: le carte pregiate decorative fiorentine utilizzate per rilegare libri, rivestire mobili e cassetti, impacchettare regali; quelle dal sapore antico, che rivisitano codici miniati e manoscritti rinascimentali. È questo il bello: un materiale così classico diventa strumento di un lavoro assolutamente nuovo e contemporaneo. È ciò che accade durante i laboratori artistici attivi nel complesso delle Murate, convento rinascimentale di monache di clausura, carcere cittadino fra Otto e Novecento, centro urbano vivace e attivo oggi che al suo interno ospita appunto il MAD, acronimo di Murate Art District.
In occasione dell’esposizione Trying to grow wings dell’artista serba Ana Vujović, infatti, dopo aver osservato le opere in mostra - fra cui straordinarie installazioni capaci di “vestire” e trasformare le antiche celle delle Murate in caleidoscopici mondi di meraviglie - i bambini sono invitati a riflettere sulla materia della carta, tradizionalmente bidimensionale, per dare vita a vere e proprie sculture, elementi che vivono nello spazio grazie all’espansione della materia e che dialogano con le opere della stessa artista, trattandosi di uccellini dai diversi colori e dalle diverse forme ispirati al soggetto principe della mostra. In effetti, un uccellino d'altri tempi e d'altri luoghi sembra guidarci fra gli ambienti espositivi, invitandoci a un viaggio che intreccia voli antichi e sensibilità contemporanee. Veri e propri innesti, verrebbe da dire, in cui si incrociano tecniche e linguaggi artistici diversi; in cui culture, forme e saperi appartenenti a tempi e luoghi distanti fra loro sono in grado di generare nuove geografie di pensiero e di spirito. Le gabbie vuote da una parte e dall’altra i rumori sordi, costanti, implacabili delle ali contro le sbarre evocano storie di libertà, di prigionìa, di evasione; i ricchissimi fili di seta dorata, per un tratto lavorati secondo un tipico motivo decorativo rinascimentale con uccellini, nello stesso tempo tessono storie d’Oriente, omaggiano la tradizione della tessitura slava e alludono al sapere dell’artigianato di Firenze.
Il nostro percorso in mostra diventa così un viaggio metamorfico che ci induce a perlustrare i limiti del nostro "essere terrestri” e a trasformarci. D’altronde il titolo dell'esposizione, Trying to grow wings, ne è la prova; tratte da un verso della scrittrice e artista Etel Adnan, queste parole sono un vero e proprio invito per tutti:
“non stiamo giocando un gioco di dolore, stiamo cercando di sviluppare le ali e volare.”
Certo, c’è chi per natura è più pronto a trasformarsi, costruirsi le ali e volare: i bambini sono fra questi. Lo fanno tutti i giorni, in ogni momento, nella spontanea evoluzione da crisalide a farfalla; lo fanno ancor di più e ancor meglio con l'arte, ai loro occhi (e ai nostri?) adesa alla vita e al mondo, potente strumento del pensiero e della mano. Il dialogo con le opere di Ana Vujović è per i più piccoli - e non solo - un viaggio di trasformazione, che dalla terra ci induce a staccarci per acquistare leggerezza di peso e apertura di visione, per alzarci in volo e cogliere ciò che da terrestri ci è precluso. Questo il senso delle attività proposte ai più piccoli. Mostrare come linguaggi, materiali e codici del passato possano diventare elementi di reinvenzione del nostro mondo grazie alla fantasia. Attraverso lo strappo, l’accartocciamento, la piega, la sovrapposizione e la combinazione –è possibile generarare creature volatili delicate e nel contempo perenni, che si posano per un istante negli spazi della mostra per poi riprendere il volo insieme ai loro giovanissimi creatori, accompagnarli a casa, abitare le loro stanzette e ispirarli nel loro domani.
credits Alisa Martynova
Post scriptum:
Un’altra materia artistica antica e preziosa trova alle Murate un posto d’onore grazie al lavoro di un'ulteriore artista contemporanea, Benedetta Manfriani. Siamo nella zona del carcere duro, l’area detentiva più severa e costrittiva; saliamo le scale strette e, a tetto, fra i muri intrisi di scialbi e di scritte ci affacciamo al corridoio centrale, che divide le antiche celle. Intorno a noi avvertiamo un insieme di voci e di suoni: notizie frammentarie paiono combinarsi con canti liturgici e armonici. Si tratta dell’intreccio di estratti dei notiziari BBC, delle Divine Liturgie russe e ucraine e di pratiche di canto armonico, matrice naturale di ogni voce, suono primigenio e universale. Il titolo di questa installazione è Quanto resta della notte e anche in questo caso è una citazione:
(Isaia 21,11)
Pochi passi più avanti, a terra, scorgiamo una scritta; prestiamo attenzione a non calpestarla; ci avviciniamo e leggiamo, a grandi lettere in foglia oro, la parola мир (MIR). È la stessa foglia oro dei polittici medievali, la stessa delle tavole bizantine, applicata con la stessa cura e maestria sulla preparazione di gesso, colla di coniglio e bolo armeno, impalpabile eppure aderente, materia terrena di trascendenza. Nella loro dimensione dorata, fulgente, lontana, queste tre lettere aliene sembrano approdare qui, negli spazi più angusti e consunti del carcere, dall’altrove eterno a cui tutti guardiamo; appaiono come riflessi oltremondani del nostro desiderio e bisogno di requie. Ne cerchiamo il significato: sia in russo sia un ucraino denotano “pace”. Ma anche “mondo”.