Pittura perfetta

Valentina Zucchi

Responsabile Mediazione e Valorizzazione MUS.E Firenze

F.I.L.A e MUS.E condividono un percorso di collaborazione proficuo: da una parte MUS.E, che ogni giorno valorizza il patrimonio culturale della città di Firenze, dall'altra FILA - con il suo love brand GIOTTO Colore Ufficiale delle attività educational di questa importante Associazione. Quello che segue è un contenuto speciale che MUS.E ha realizzato in esclusiva per Diario Creativo per condividere impressioni sull’arte e sul suo ruolo nell’offrire nuovi modi di guardare il mondo.

“Che caos immenso è un fiore e quale fatica per approssimarsi appena a renderne un’idea di quel che vi si vede, di quel che vi è, perché c’è!” Oscar Ghiglia

Un centinaio d’anni fa, alle pendici delle colline fiesolane, nel silenzio del suo studio un pittore era intento a indagare sulla tela il mistero che si cela dentro a una fruttiera, nelle pieghe di una stoffa, dietro a un bacile. Alla luce naturale il nostro pittore preferiva quella artificiale, alla pittura en plein air quella meditata di un ambiente chiuso, all’istinto creativo una tecnica paziente e posata, nutrita dal grande passato ma anche dalle sensibilità recenti. Le sue opere, in effetti, sfuggono al determinismo della cronologia e alla contingenza delle circostanze per assumere un tono sovratemporale, rarefatto, perfetto. Questo pittore è Oscar Ghiglia (1876-1945), nato e cresciuto a Livorno da famiglia non agiata, avviatosi all’arte sotto l’ala di Giovanni Fattori e munito della stima dell’amico Modigliani, trasferitosi a Firenze poco più che ventenne e ben presto sostenuto dal celebre critico Ugo Ojetti, che non mancherà di ospitarlo appunto, per alcuni anni, nella foresteria della sua villa al Salviatino, presso Fiesole.

Ghiglia è un artista che non compare nei classici manuali di storia dell’arte, che risulta probabilmente sconosciuto ai più e che tuttavia offre al nostro sguardo opere intrise di poesia, di profondità, di qualità sempre attuali.

I suoi dipinti - in mostra a Firenze, a Palazzo Medici Riccardi, fino a metà settembre - sono da guardare con calma, da abbracciare con gli occhi nel loro insieme e da gustare nei dettagli, pennellata dopo pennellata, addentrandosi fra gli spessori del colore e le asciuttezze della tela per vivere una vera e propria magia. E dire che i soggetti raffigurati sono apparentemente tutt’altro che magici: oggetti semplici quotidiani, fiori e di frutti, specchi e arredi d’interno, affetti familiari, elementi ordinari e comuni che potremmo ritrovare in qualsiasi casa. Ed è proprio questa la magia: l’occhio e la mano del pittore Ghiglia vi si soffermano, vi si concentrano, esplorandone le apparenze e i segreti per restituirceli nelle forme aperte e perpetue dell’arte.

Mentre nel mondo furoreggiava la Grande Guerra, Ghiglia si era ritirato sulle coste toscane, disorientato e turbato da questo disastro dell’umanità; qualche anno dopo, mentre in Italia si affermava quell’ideale ritorno all’ordine e alla tradizione che vedrà il nascere di Novecento e in Europa si aprivano i primi spiragli del Surrealismo e del Realismo magico, Ghiglia maturava la sua idea di pittura, permeata di novità eppure quasi trascendente, modulata grazie a una sapienza tecnica d’eccezione capace di rendere le sue opere assoluti capolavori.

È proprio la qualità della sua pittura che merita di essere osservata, apprezzata e interpretata, richiamandoci a quei “valori del pennello” che oggi ci sembrano tanto lontani. In effetti, sia noi - che  pure siamo cresciuti con la stilografica fra le dita - sia i nostri figli - con un crescente e vertiginoso abbassamento dell’età - guardiamo alla penna e al pennello come oggetti d’antan, come strumenti di un tempo concluso, che oggi ci sentiamo quasi incapaci di maneggiare. Lontani anni luce dalle pagine d’inchiostro che qualche decennio fa avremmo saputo scrivere e dai fogli bianchi che avremmo riempito di disegno e di colore, siamo diventati abilissimi nello scorrere sulle tastiere e sugli schermi, nel digitare lettere e numeri, muti pianisti della nostra epoca, sempre più pronti, pigramente, a pronunciare dettati e comandi a sensori robotici piuttosto che governare e allenare le nostre più intelligenti estensioni: le mani.

Ecco perché, in occasione della mostra fiorentina, non poteva mancare una vera - e sana, dal nostro punto di vista - attività di pittura. Rivolta ai più giovani e ai loro accompagnatori, la proposta trae lo spunto dai dipinti di Oscar Ghiglia per avvicinare a tela e pennello anche i non addetti ai lavori.

Dopo un’introduzione in mostra i bambini sono condotti in atelier, dove sono invitati a comporre le proprie nature morte scegliendo fra innumerevoli oggetti ispirati all’universo dell’artista; una cura particolare è dedicata alla costruzione dell’insieme e agli effetti visivi che vi si generano in termini di pieni e di vuoti, di luci e di ombre, di colori e di contrasti, di equilibri e di asimmetrie, di superfici e di volumi. Una volta definito il soggetto, i partecipanti possono preparare la propria tela con la stesura del colore di fondo, per poi cominciare a tracciare le linee guida del disegno e successivamente a dipingere, preparando i colori sulla propria tavolozza e procedendo con le prime campiture per poi definire dettagli e rese di superficie.

Avendo prestato una specifica attenzione ai diversi approcci pittorici di Ghiglia - ora più materici e ora più asciutti, ora più regolari e ora più dinamici, ora più uniformi e ora più sintetici, ora più allungati, ora più vibranti - piccoli e grandi hanno l’opportunità di sperimentare stesure pittoriche distinte, improntate al proprio gusto ed estro, verificandone in corso d’opera gli effetti materici e gli esiti visivi. Al termine del laboratorio, naturalmente, ogni dipinto è del suo artefice e può essere portato via con sé. La finalità, come sempre nelle proposte firmate MUS.E, non è quella di insegnare i dettami di una tecnica, bensì quella di aprire una pista, di suggerire una strada, di invitare a un percorso: che non è quello del diventare artisti, ma di esperire come l’arte sia un modo di guardare il mondo e, in sintesi, di vivere.

“Forse l’amore per la natura morta, la gioia con cui il pittore ritrova e carezza la forma di una mela e la offre all’universo, è piena appunto di una semplicità da primitivo: è l’uomo che dipinge come se fosse il primo che si mette a dipingere.” Massimo Bontempelli

La mostra “Oscar Ghiglia e gli anni di Novecento”, curata da Leonardo Ghiglia, Lucia Mannini, e Stefano Zampieri, è promossa dalla Città Metropolitana di Firenze e organizzata da MUS.E in collaborazione con l’Istituto Matteucci di Viareggio.

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