LA FIABA DEL MARRONE

Di Silvia Andreoli

 

Se qualche bambino, di solito piuttosto piccolo,
lo scambiava per un orso, e un orso feroce,
MARRONE ne era davvero felice.
L’idea di essere preso per uno di quei Grizzly superbi,
capaci di mettere paura per le dimensioni immense,
anche 360 chili di peso equasi 2 metri di altezza,
lo riempiva di orgoglio infinito.

Per questo cercava sempre di posizionarsi sotto i raggi del sole o
della luna, in modo da proiettare un’ombra gigantesca.
E sapete perché? MARRONE si sentiva un po’ piatto, senza carattere.
Insomma non era un colore capace di spiccare.
Non aveva gli slanci di Rosso, o l’eleganza di Blu,
nemmeno la disinvoltura di Verde.

Era uno che non si notava mai. Anche nella scatola dei colori,
tra pennarelli o matite, sapeva di doverci essere,
ma perché serviva, non perché piaceva.
Per dimenticare questi pensieri, spesso
MARRONE si addentrava nei boschi e camminava a lungo.
Gli piaceva la sensazione di essere
attorniato da chi gli somigliava.
Tra tronchi, cortecce, radici d’alberi, si quietava.

 

Fu proprio durante una di quelle passeggiate che, un bel giorno,
MARRONE si spinse avanti e ancora avanti, e capitò
in una parte del bosco che non ricordava di avere mai visto.
Notò anzi che c’erano tanti spazi vuoti,
rami spezzati e tronchi tagliati.
MARRONE si stupì e anche si rattristò.

 

 

Che cos’era successo? Ma, essendo piuttosto timido,
non ebbe il coraggio di chiedere a nessuno.
Non agli UCCELLI disperati che avevano perso la casa e adesso
dovevano fare trasloco altrove.
Non alle lumache, alle coccinelle, alle farfalle, e neppure
ai piccoli roditori che sicuramente si aggiravano tutt’attorno.

Fu solo quando salì la luna in cielo,
una luna che era piena, perfetta, rotonda
e luminosissima, che MARRONE sorrise,
guardando la sua ombra farsi gigantesca a terra.
E a quel punto una vocina lo chiamò:
«Ehi tu, orso Grizzly, avvicinati».
«Dici a me?», chiese MARRONE,
tentando di usare un tono da orso.

«Ovvio, vedi altri Grizzly qui?», aggiunse, scocciata, la vocina.
«Non che io ne conosca, in verità, sono più pratico di balene,
gatti ciechi, volpi zoppe, pescecane, e un grillo parlante, ma orsi,
se non sbaglio, proprio no. Beh, certo, non che sia uno
che definiresti bravo, con le cose della scuola, eh,
anzi mi sono pure toccate le orecchie da somaro»..

MARRONE si stupì di quella parlantina. Ma che cosa mai diceva?
Gli stava raccontando una storia?
«Si parte con le buone intenzioni spesso e poi… insomma…
si inciampa ecco», aveva ripreso a dire.
«Magari capita anche a voi Grizzly. Di sicuro succede agli umani.
Basta che ti guardi intorno, qui, sembra che sia passato un uragano,
e invece sono stati loro che hanno buttato giù mezza foresta
per costruire un hotel di lusso che si affacci in mezzo al silenzio.

Ma se arrivano tutti insieme il silenzio non c’è più, giusto?
Mi sa che sarà una bella fregatura, come il Paese dei Balocchi».
La vocina s’era zittita, e a MARRONE dispiacque,
gli parve che fosse diventata triste.

 

 

«Scusa, però, non è che potresti uscire dal nascondiglio?»,
disse allora MARRONE, incuriosito di capire
con chi stesse parlando.
«Anche se sono un Grizzly feroce ti do la mia parola d’onore
che non ti farò nulla», aggiunse. «Non mi vedi?»,
gli fece eco offesa, la vocina.
«Guarda che sono proprio qui, a terra, davanti a te».
MARRONE si piegò e scorse ai suoi piedi un pezzo di legno.

Non era un legno di lusso, invece un semplice pezzo da catasta.
Se fosse stato inverno, in montagna lo avrebbero messo
in una stufa o in un caminetto per riscaldare la stanza.
Ma era estate, e lo avevano lasciato lì. «Ti chiedo scusa»,
disse MARRONE educatamente. «Bah, non ti preoccupare,
basta che non mi picchi forte, per il resto tutto può andare».

MARRONE lo rassicurò che non avrebbe mai fatto del male
a nessuno. Invece gli chiese di ritornare su quella storia
che stava raccontando. «Quale capitolo in particolare?»,
chiese il pezzo di legno. «Quello sul carattere degli esseri umani», rispose MARRONE.
«Oh», s’accese tutto il pezzo di legno,
«io diventerò un umano, sai?
Un bambino. E lo farò perché un falegname
sbozzerà la mia forma».

«Ma davvero? E come?» «Grazie a uno scrittore.
Che ha scritto con la penna ben trentasei
capitoli della mia storia,
la storia di un pezzo di legno che diventa
un burattino e poi un bambino.
Così divento quello che desidero». Di fronte a quella sincerità,
MARRONE si sentì un po’ un imbroglione.
«Non sono un Grizzly», ammise,
«anche se mi piacerebbe esserlo».

«Ma allora, se lo desideri davvero davvero,
basta che trovi uno scrittore
che ti aiuti e vedrai che puoi diventare un Grizzly»,
gli rispose il pezzo di legno.
MARRONE si rincuorò, anzi persino fu invaso dalla felicità.
«Dici davvero?» «Parola di Pinocchio», e subito si azzittì.

Sapeva che parola di Pinocchio non
era esattamente parola d’onore,
visto che tutti credevano che dicesse le bugie.
«Che bel nome hai», si complimentò MARRONE.
«Me l’ha dato lo scrittore». «Allora mi devo cercare anch’io
uno scrittore», ribatté MARRONE, pieno di entusiasmo.

«Vedrai che sarà lui a trovare te, com’è stato con il mio,
Carlo Collodi»,
precisò il pezzo di legno. «Grazie a lui, ho capito quanto siano generosi gli umani, certe volte.
Soprattutto se hanno a che fare con i desideri.
Poi certo, un po’ pasticciano, ma ci provano… Bisogna essere pazienti. Con loro. E anche con noi stessi».
Venne l’alba in quell’istante e
l’ombra gigantesca di MARRONE scomparve.
Forse non aveva più le dimensioni di un Grizzly, ma di sicuro
quelle di un grande, bellissimo desiderio.

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