LA FIABA DEL VIOLA

Lo avevano tormentato
con quella specie di profezia
da prima ancora che aprisse
gli occhi sul mondo, VIOLA.
E, diciamolo pure,
non era stato un gran bel modo
di cominciare.
«VIOLA è il colore della PAURA»,
sussurravano dietro corridoio e
porte, e qualcuno aggiungeva,
tra i denti: «della SFORTUNA».

Guai anche solo a pronunciare
il suo nome se si era nei paraggi
di palchi, spettacoli, teatri.
È vero, le sue vicende erano un po’
alterne: Isaac Newton lo aveva “cacciato”
dalla composizione
dello spettro dell’arcobaleno,
preferendogli il violetto.
Ma gli alchimisti, che erano una specie
di medico-scienziato antico, avevano decretato
che proprio VIOLA insieme al bianco e
al rosso amaranto formassero i tre colori
della metamorfosi della MATERIA FILOSOFALE.

Dunque una cosa magica.
Per questo c’era chi lo adorava e chi,
al contrario, lo temeva, senza che
fosse possibile capirne la ragione.
Ma per VIOLA capire era necessario.
Era uno di quei tipi molto razionali,
che, finché non comprendono,
non si danno pace.
Non cercava di cambiare le cose,
né di piacere a tutti.
Però doveva per forza trovare
il “bandolo della MATASSA”.

Per farlo c’era una e
una sola strada:
quella della BIBLIOTECA.
Lì, infatti, erano conservati
tutti i libri che custodivano
la piccola e la grande Storia,
il sapere del mondo.
«Se si vuole comprendere
perché una cosa oggi appare
com’è, bisogna fare il percorso
indietro», si disse Viola.

Così, l’indomani, all’orario di apertura
della biblioteca centrale,
VIOLA era già in fila.
Rimase nella sala di consultazione fino
a sera. Lo stesso accadde il giorno
seguente e quello successivo.
Cominciò il tempo del suo studio
matto e disperatissimo.
Ripiegato tra volumi immensi e
polverosi, una PENNA e un QUADERNO
di carta vicino, VIOLA partì da dove
riuscì a trovare il primo indizio.

E quell’indizio gli disse
che, in realtà, VIOLA
era conosciuto con
un altro nome, molto antico:
Porpora di Tiro.
Era un composto
che si otteneva
unendo due varietà
di MOLLUSCHI
del Mediterraneo,
il Thais haemastoma e
il Murex brandaris.

Si doveva fare così: si spaccava
il guscio di uno e al suo interno,
ecco rivelarsi una specie di FIORE,
che invece era una ghiandola.
Se si schiacciava, usciva una goccia.
All’apparenza era trasparente,
ma la luce del sole la trasformava.
Mescolando le sostanze dei due,
si produceva una sfumatura che,
dicevano gli antichi, era così prodigiosa
da legare il colore alla divinità.

Insomma era il simbolo del potere
di chi sapeva parlare con gli dei.
VIOLA scoprì che non era affatto
semplice ottenere
quella sfumatura,
secondo alcuni rosso scarlatto,
per altri viola scuro
e persino venato di nero,
con un pessimo odore - CROSTACEI
marci e aglio.

Ma nemmeno questo toglieva potere
all’antenato di VIOLA nelle preferenze
dei ricchi.
«Perché tutti volevano qualcosa
che puzzava e che, alla fine, non veniva mai
definito bello, ma solo di prestigio?»,
si interrogava.
Anche sul nome si discuteva.
Se in italiano “porpora” corrispondeva
a un tipo di rosso, diventava nell’inglese
PURPLE”, appunto VIOLA. Come se gli occhi
potessero guardare in maniera diversa
a seconda delle diverse aree geografiche.

In un unico caso, tutti erano d’accordo:
quando si entrava in una chiesa.
Il VIOLA dominava tra le tinte liturgiche,
quelle dei riti. Quelli tristi, però:
la morte e la Quaresima.
E, come non bastasse, nel Medioevo,
durante la Quaresima
gli spettacoli teatrali erano vietati.
Così attori e saltimbanchi
non potevano lavorare
e odiavano quel periodo dell’anno,
pieno di rinunce.

Ma allora, disse d’un tratto VIOLA:
«Se siamo legati alla felicità degli
umani, siamo vincenti.
Se alla loro tristezza, invece,
diventiamo dei perdenti».
Si soffermò un attimo e sbuffò:
«Ma perché le persone
hanno così paura della TRISTEZZA?
In fondo è come tutto il resto.
Arriva, resta un po’, e poi passa».
VIOLA non si era accorto di avere
fatto quella riflessione a voce alta.

Il bibliotecario lo aveva sentito.
Gli andò vicino e sussurrò,
con grande rispetto:
«Ci sono grandi professori che
passano di qui e studiano e
studiano, e magari insegnano
nelle UNIVERSITÀ, scrivono libri.
Ma non ho mai sentito nessuno
di loro parlare con tanta sapienza
quanto te. Dovresti essere
orgoglioso della tua attenzione».

VIOLA lo fissò e disse: «Grazie».
Poi aggiunse: «A volte
abbiamo così tanta paura di quello
che dicono gli altri di noi
che ci dimentichiamo di capire
che cosa ci piaccia davvero».
Il bibliotecario annuì.
«La STRADA è quella di conoscere e approfondire».
VIOLA salutò con estrema gentilezza
il custode e mentre si allontanava, stanco e
assonnato, scorse il proprio riflesso
nella porta di vetro. Gli sembrò0di riconoscere un’aria
distinta, e anche sapiente.
E si sentì bene. Quasi benissimo.

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