Diario Creativo meets Vittoria Facchini

Vittoria Facchini è un’illustratrice di libri per bambini e ragazzi, pubblicati in tutto il mondo. È un’artista dalla creatività inesauribile e ha scelto di condividere con noi di Diario Creativo, in qualità di contributor, idee e spunti per realizzare laboratori per bambini e ragazzi all’insegna della sostenibilità, del riuso e del divertimento creativo (qui e qui).

L’abbiamo incontrata e le abbiamo fatto alcune domande per conoscerla meglio.

Sappiamo che hai realizzato un libro utilizzando i prodotti GIOTTO. Puoi dirci di più?

Mi fa immensamente piacere rispondere a questa domanda. Perché la scelta di utilizzare la tempera pronta GIOTTO per le illustrazioni di questo libro è nata da un motivo per me, non solo tecnico ma soprattutto simbolico. Il libro in questione è un albo illustrato, il suo titolo è “Sei bellissima”. È stato pubblicato nel 2019 dalla casa editrice Fatatrac, su testi di Janna Carioli. È un libro tanto particolare, non solo per la storia che racconta - che rivolge il suo sguardo al pesante problema dei disturbi dei comportamenti alimentari dei giovanissimi, in particolar modo delle bambine - ma soprattutto per l’emozionante storia che lo ha visto nascere. A differenza di molti albi illustrati che partono da una idea di lavoro tra editore e autori delle immagini e dei testi, questo nasce dal desiderio di una dottoressa e della sua equipe di raccontare, la loro conoscenza, il loro guardare, il loro cercare.

Il libro nasce infatti da un progetto che riguarda una equipe di specialisti dei Disturbi del Comportamento Alimentare e seguito dalla Dottoressa Paola Accorsi dell’ospedale di Pieve di Coriano - ASST di Mantova. È stata proprio lei, mirabile medico e persona di rara umana bellezza, a spiegare all’editore quanto un libro come questo potesse diventare uno strumento importantissimo per poter iniziare a parlare con tutti, ma nello specifico, con le sue pazienti (in alcuni casi, purtroppo ancora bambine) di certi aspetti della non accettazione di sé.

Quando l’editore mi ha proposto di illustrare questo testo spiegandomi cosa lo aveva mosso e di cosa parlava in realtà, vi confesso che inizialmente sono andata un poco in crisi essendo io una illustratrice i cui tratti del proprio lavoro sono da sempre fortemente ironici, accompagnati da un segno e una tavolozza di colori quasi “selvatici”. In questo albo la mia cifra ironica non c’è, perché ho sentito il peso della responsabilità del tema. Ma insieme ho anche sentito la libertà assoluta di dare colore, e di essere anche ovvia nel colore, “rosa”. Ho voluto farmi libera di disegnare delle bambine rosa e per giunta con delle ali, “squisitamente stereotipate”. Quando si è trattato di scegliere con quale tecnica fare le mie illustrazioni e non ho avuto dubbi. Ho usato la tempera pronta. Proprio la stessa tempera GIOTTO, negli stessi flaconi, che usano tantissimi bambini a scuola. E che uso sempre, da sempre, nei miei laboratori a scuola, nei festival, nelle biblioteche. Avevo bisogno in primis io di una sorta di confidenza con una tecnica che mi apparteneva già da bambina. Che si lasciava usare fluidamente, in modo libero e leggero, mettendo fuori un colore schietto, vivo, quasi tattile. Un colore che comunicava prima a me, nel fare, un implicito, familiare benessere che conoscevo da sempre, quasi parte della mia memoria. Ho scelto appositamente i colori che usano tutti i bambini, perché è un libro molto bambino. E Lea, la protagonista dell’albo in copertina, non è grossa o grassa ma grande, perché Lea è importante. E il colore steso a campiture generosissime, larghe, fluide, libere anche di poter sbagliare (perché quella tempera poi ha la cura di farci capire come trasformare un eventuale errore) potevo farlo così, con quel pensiero così, solo con quella “tempera bambina”.

Da dove nasce la tua passione per l’illustrazione?

Ricordo che da piccola avevo dei libri di storie classiche di autori come Collodi, Salgari, Burnet, De Amicis, con certe illustrazioni datate, di quelle che venivano inserire nel libro ogni tot di pagine. Leggere molte pagine con le righe e poi trovarsi, finalmente “nella pagine con le figure” era letteralmente un tuffo al cuore. Poi è arrivato Rodari, che amo immensamente, e con lui Munari. Per me loro due insieme, nei “Cinque libri”, è stato l’incontro mozzafiato con l’illustrazione fatta di gesti, pensiero simbolico, sintesi, invenzione, interpretazione, gioco libero di invenzione assoluta. Moltissimi anni dopo invece per me la passione per l’illustrazione ha avuto il nome luminoso di chi considero un immenso maestro. Lele Luzzati.

Chi sono stati i tuoi maestri?

Emanuele Luzzati in assoluto che ammiravo già da moltissimi anni, prima di incontrarlo. Quando guardavo soprattutto le sue meravigliose animazioni su musiche di Rossini mi lasciava piena di un incanto fatto di un colore energetico, libero, zompettante, vivo. L’ho poi incontrato a Venezia durante un corso che ha determinato in assoluto la mia scelta poi di illustrare. Prima di allora non avevo mai preso in considerazione questa possibilità da dare al mio segno.

Qual è la tua maggiore fonte di ispirazione?

Non ne ho una soltanto. Ogni cosa per me lo è. Ogni immagine o parola che colgo intorno a me anche mentre faccio la spesa. Anzi, sono proprio quelle cose che cogli di istinto mentre fai altro a generare solitamente un flusso creativo molto forte. Farà sorridere, ma vi giuro è proprio così. Poi di sicuro c’è tantissimo “il tantissimo guardare”. Soprattutto moltissima arte classica, poi i meravigliosi albi illustrati provenienti da ogni parte del mondo, le immagini di certi bellissimi servizi fotografici delle riviste di moda. E poi la cosa che mi ispira di più nel modo che più mi piace, e cioè non affatto performativo, è l’assoluto incosciente buttarsi a fare, senza pensare, ma dandosi al segno, al colore, al provare anche senza immediatamente trovare.

Veniamo ai tuoi laboratori creativi. Come li strutturi? Quali “ingredienti” non devono mai mancare?

Mai, mai in modo assoluto, mai mancano gli albi. Gli albi illustrati. Non solo i miei, ma quelli soprattutto dei grandi maestri anche contemporanei. Ad esempio, un autore per me immenso che non manca mai nei miei laboratori è Leo Lionni. Sarebbe qui troppo lungo da spiegare il perché, vi dico soprattutto che da un certo momento in poi ho deciso, nel cuore, che ogni bambino che incontravo “doveva aver visto un PEZZETTINO del suo meraviglioso lavoro. PEZZETTINO lo scrivo tuto in maiuscolo perché é il titolo di uno dei suoi albi che io amo immensamente. E che, tra le altre cose, è diventato il nome dell’ultimo gattino arrivato nel mio studio (condivido il mio studio con 4 gatti). E poi non devono mai mancare soprattutto i COLORI. QUESTO LO SCRIVO IN MAIUSCOLO perché per me è di importanza immensa. Dove i COLORI sono i primari e i loro complementari ma anche il bianco e il nero e i risultanti delle loro mescolanze. E in tutte le loro declinazioni di ipotesi di tecnica, quindi tempere, acquerelli, pennarelli, carte colorate (fatte a mano), pastelli a matita, a cera, ad olio. E, unita a tutti questi e a tutto questo, imprescindibile la libertà. Di sperimentare. In totale assenza di senso della performance.

Quale ruolo gioca lo sviluppo del pensiero creativo e del learning by doing nella didattica?

Mi sento di dire, immenso. Fondamentale. Fare le cose, stando nelle cose, imparare facendole per incontrarle davvero e quindi impararle e conoscerle. Nel mio mondo di lavoro dove ho affidato quasi l’interezza del suo senso alle mani: “la memoria delle mani” è uno strumento tra i più importanti.

Un’ultima domanda. Quali consigli ti senti di dare ai giovani che oggi desiderano intraprendere la tua strada professionale?

Lo dico in modo sintetico perché è la cosa più diretta, chiara, convinta, utile e schietta che posso dire. Siate personali. Lavorate sull’unicità del vostro segno, del vostro senso del colore, della vostra declinazione di forma, del vostro, VOSTRO pensiero creativo. Con moltissime paia di occhi e orecchie soprattutto.

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